domenica 20 marzo 2011

Zombie e Grandi Inquisitori

Nel leggere il volume di Franco Cassano (F. Cassano, L'umiltà del male, Laterza, Bari 2011), sono rimasto colpito dall'analisi del dialogo tra il Grande Inquisitore e Cristo, tratto da I Fratelli Karamazov; un dialogo-monologo che Alioscia K. banalizza, interpretandolo come una semplice contrapposizione tra vero cristianesimo e la deriva temporale della Roma dei Papi, una lode a Cristo.
Cassano, dal canto suo, scava molto più a fondo all'interno di quel dialogo, si addentra in quelle zone grigie, dolorosamente e scientificamente descritte da Primo Levi (P. Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino 1986), nelle quali la contrapposizione tra Fede e Chiesa, tra Spiritualità e Struttura, assume connotazioni molto più sfumate e di grande rilevo per l'analisi dei contesti sociali.
Cassano ci propone una chiave di lettura contemporanea della critica di Dostoevskij, egli descrive, a partire dal dialogo tra i due fratelli, l'immagine dello spazio lasciato vuoto da intellettuali e politici, spazio che si frappone tra loro e le vere esigenze della popolazione. Si materializza così una terra di nessuno nella quale il male, o l'avversario politico più scaltro, possono insediarsi, facendo proprie le necessità e le debolezze dell'uomo qualunque.

Possiamo aggiungere una ulteriore sfumatura a questa chiave di lettura? L'Inquisitore, di fronte a Cristo, afferma in modo chiaro che esiste un divario incolmabile tra i dodicimila Santi (oggi qualcosa di più) e le persone comuni, una distanza dovuta ai vizi, alle imperfezioni e le debolezze di questi ultimi. La colpa, dell'apertura di una tale scissura, viene attribuita proprio a Cristo e ai suoi Santi, non già per una carenza di fede o di santità, ma proprio per un eccesso di queste. Essi sono colpevoli di una proiezione verso l'alto che non può essere seguita da semplici uomini. Soltanto dodicimila sono i Santi.
La strategia vincente del male sta proprio nella sua umiltà. Come afferma Cassano, il male si volge indietro e "cum-prende" le debolezze umane perdonandole, egli non genera Santi, non spinge l'uomo a proiettarsi verso obiettivi per i più irraggiungibili. La sua strategia è di essere al fianco dell'umanità nel suo quotidiano.

Ampliando l'orizzonte della nostra indagine, possiamo notare che le attenzioni a "debolezze e vizi quotidiani" dell'uomo, altro non sono se non quella "conoscenza ordinaria" di cui parla Maffesoli (M. Maffesoli, La conoscenza ordinaria. Compendio di sociologia, Cappelli, Bologna 1986).
Il sociologo francese, come lui stesso ci dice (Silvia Leonzi - a cura di, Michel Maffesoli. Fenomenologie dell'immaginario, Armando, Roma 2009, p. 51), intende dimostrare l'importanza dei piccoli rituali "banali" e la necessità che le rappresentazioni quotidiane e ordinarie della società, siano oggetto di attenzione e di analisi.
Proprio come, seppur per altri motivi, l'Inquisitore comprende l'importanza delle debolezze umane, così lontane dello splendore dei Santi e pure così inoppugnabilmente potenti, accogliendole benevolmente senza giudicarle. Una simile astensione dal giudizio, la ritroviamo anche in Levi che, nella già citata zona grigia, descrive il luogo dove la "giustizia umana" deve scendere a dei compromessi. Le vittime innocenti sono costrette, all'interno del Lager/laboratorio del male, a sporcarsi "da aguzzini", esse sono incolpevoli proprio perché spinte oltre la loro capacità di resistenza, de-umanizzate dal vero carnefice. Nella zona grigia, l'innocenza non scompare, si mescola indissolubilmente con la colpa. Il melange che ne deriva, ci proietta in una dimensione nella quale si è costretti ad assolvere per l'impossibilità a giudicare, e questa secondo Levi è l'unica risposta possibile (anche se, ovviamente, si riserva di non concedere il perdono).

Il male si mescola con il bene, la scaltra umiltà dell'Inquisitore ha buon gioco con le debolezze umane; il "bene" (la "luce") lasciato libero di vagare, si distacca dalla realtà perdendo ogni contatto con essa. L'eccessiva intellettualizzazione, la razionalità spinta agli eccessi, sono il bene.
Questa interpretazione, presenta una certa assonanza con la descrizione antropologica dei "regimi" diurno e notturno proposta, anche se non proprio in termini di bene e di male, da Gilbert Durand (G. Durand, Le strutture antropologiche dell'immaginario. Introduzione all'archetipologia generale, Dedalo, Bari 1972), e fonte di ispirazione per gli studi di Maffesoli.
Ci troviamo quindi davanti, anche nel caso del testo di Cassano, alla necessità di utilizzare un approccio olistico nello studio della realtà. La complessità sociale si indaga soltanto accettando, al suo interno, tutte le parti che la compongono, attribuendo ad esse pari dignità e pari importanza. Il razionalismo deve frenare la sua spinta ascensionale, l'uomo, come dice l'Inquisitore, non è un Santo, non può "volare".
Quello che abbiamo chiamato "approccio olistico", deve spingerci ad accettare la coincidenza degli opposti. La razionalità nasce dall'umanità, cosi come il suo contrario, più questa si allontana, innalzandosi al di sopra del luogo di nascita (il ventre materno della terra), come un nuovo Icaro, annichilisce, e contribuisce ad alimentare il processo di inselvatichimento del mondo.

La reductio ad unum che è principio fondante della Modernità, secondo Compte, si contrappone, e cede il passo, ad una epifania di nuove divinità che affollano la società contemporanea. Non è possibile mantenere aperta la scissura tra bene e male, tra razionale e immaginale, sono parti di un tutto e come un tutto debbono essere accettati.
All'interno di questo paradigma abbiamo la necessità, l'obbligo, di garantire la dignità di cittadino, anche a ciò che potrebbe sembrare più insignificante e banale (se vogliamo, anche al nostro fenomeno Zombie), prima che un "Grande Inquisitore bussi alla sua porta".

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