domenica 27 marzo 2011

Non soltanto Zombie

Coming soon: Zebraman vs Superman - Spiderman - I Fantastici 4 e via dicendo..

"[...] la sorpresa spiazzante di come i sogni possano diventare realtà e di come per farlo e arrivare alla più imprevedibile delle svolte non ci sia bisogno di nessuna motivazione. [...]" (Dalla recensione del sito Mymovies.it)

domenica 20 marzo 2011

Zombie e Grandi Inquisitori

Nel leggere il volume di Franco Cassano (F. Cassano, L'umiltà del male, Laterza, Bari 2011), sono rimasto colpito dall'analisi del dialogo tra il Grande Inquisitore e Cristo, tratto da I Fratelli Karamazov; un dialogo-monologo che Alioscia K. banalizza, interpretandolo come una semplice contrapposizione tra vero cristianesimo e la deriva temporale della Roma dei Papi, una lode a Cristo.
Cassano, dal canto suo, scava molto più a fondo all'interno di quel dialogo, si addentra in quelle zone grigie, dolorosamente e scientificamente descritte da Primo Levi (P. Levi, I sommersi e i salvati, Einaudi, Torino 1986), nelle quali la contrapposizione tra Fede e Chiesa, tra Spiritualità e Struttura, assume connotazioni molto più sfumate e di grande rilevo per l'analisi dei contesti sociali.
Cassano ci propone una chiave di lettura contemporanea della critica di Dostoevskij, egli descrive, a partire dal dialogo tra i due fratelli, l'immagine dello spazio lasciato vuoto da intellettuali e politici, spazio che si frappone tra loro e le vere esigenze della popolazione. Si materializza così una terra di nessuno nella quale il male, o l'avversario politico più scaltro, possono insediarsi, facendo proprie le necessità e le debolezze dell'uomo qualunque.

Possiamo aggiungere una ulteriore sfumatura a questa chiave di lettura? L'Inquisitore, di fronte a Cristo, afferma in modo chiaro che esiste un divario incolmabile tra i dodicimila Santi (oggi qualcosa di più) e le persone comuni, una distanza dovuta ai vizi, alle imperfezioni e le debolezze di questi ultimi. La colpa, dell'apertura di una tale scissura, viene attribuita proprio a Cristo e ai suoi Santi, non già per una carenza di fede o di santità, ma proprio per un eccesso di queste. Essi sono colpevoli di una proiezione verso l'alto che non può essere seguita da semplici uomini. Soltanto dodicimila sono i Santi.
La strategia vincente del male sta proprio nella sua umiltà. Come afferma Cassano, il male si volge indietro e "cum-prende" le debolezze umane perdonandole, egli non genera Santi, non spinge l'uomo a proiettarsi verso obiettivi per i più irraggiungibili. La sua strategia è di essere al fianco dell'umanità nel suo quotidiano.

Ampliando l'orizzonte della nostra indagine, possiamo notare che le attenzioni a "debolezze e vizi quotidiani" dell'uomo, altro non sono se non quella "conoscenza ordinaria" di cui parla Maffesoli (M. Maffesoli, La conoscenza ordinaria. Compendio di sociologia, Cappelli, Bologna 1986).
Il sociologo francese, come lui stesso ci dice (Silvia Leonzi - a cura di, Michel Maffesoli. Fenomenologie dell'immaginario, Armando, Roma 2009, p. 51), intende dimostrare l'importanza dei piccoli rituali "banali" e la necessità che le rappresentazioni quotidiane e ordinarie della società, siano oggetto di attenzione e di analisi.
Proprio come, seppur per altri motivi, l'Inquisitore comprende l'importanza delle debolezze umane, così lontane dello splendore dei Santi e pure così inoppugnabilmente potenti, accogliendole benevolmente senza giudicarle. Una simile astensione dal giudizio, la ritroviamo anche in Levi che, nella già citata zona grigia, descrive il luogo dove la "giustizia umana" deve scendere a dei compromessi. Le vittime innocenti sono costrette, all'interno del Lager/laboratorio del male, a sporcarsi "da aguzzini", esse sono incolpevoli proprio perché spinte oltre la loro capacità di resistenza, de-umanizzate dal vero carnefice. Nella zona grigia, l'innocenza non scompare, si mescola indissolubilmente con la colpa. Il melange che ne deriva, ci proietta in una dimensione nella quale si è costretti ad assolvere per l'impossibilità a giudicare, e questa secondo Levi è l'unica risposta possibile (anche se, ovviamente, si riserva di non concedere il perdono).

Il male si mescola con il bene, la scaltra umiltà dell'Inquisitore ha buon gioco con le debolezze umane; il "bene" (la "luce") lasciato libero di vagare, si distacca dalla realtà perdendo ogni contatto con essa. L'eccessiva intellettualizzazione, la razionalità spinta agli eccessi, sono il bene.
Questa interpretazione, presenta una certa assonanza con la descrizione antropologica dei "regimi" diurno e notturno proposta, anche se non proprio in termini di bene e di male, da Gilbert Durand (G. Durand, Le strutture antropologiche dell'immaginario. Introduzione all'archetipologia generale, Dedalo, Bari 1972), e fonte di ispirazione per gli studi di Maffesoli.
Ci troviamo quindi davanti, anche nel caso del testo di Cassano, alla necessità di utilizzare un approccio olistico nello studio della realtà. La complessità sociale si indaga soltanto accettando, al suo interno, tutte le parti che la compongono, attribuendo ad esse pari dignità e pari importanza. Il razionalismo deve frenare la sua spinta ascensionale, l'uomo, come dice l'Inquisitore, non è un Santo, non può "volare".
Quello che abbiamo chiamato "approccio olistico", deve spingerci ad accettare la coincidenza degli opposti. La razionalità nasce dall'umanità, cosi come il suo contrario, più questa si allontana, innalzandosi al di sopra del luogo di nascita (il ventre materno della terra), come un nuovo Icaro, annichilisce, e contribuisce ad alimentare il processo di inselvatichimento del mondo.

La reductio ad unum che è principio fondante della Modernità, secondo Compte, si contrappone, e cede il passo, ad una epifania di nuove divinità che affollano la società contemporanea. Non è possibile mantenere aperta la scissura tra bene e male, tra razionale e immaginale, sono parti di un tutto e come un tutto debbono essere accettati.
All'interno di questo paradigma abbiamo la necessità, l'obbligo, di garantire la dignità di cittadino, anche a ciò che potrebbe sembrare più insignificante e banale (se vogliamo, anche al nostro fenomeno Zombie), prima che un "Grande Inquisitore bussi alla sua porta".

lunedì 14 marzo 2011

Come ammazzo lo Zombie

Fatta salva quindi l'evoluzione in senso conciliatorio intravista ne L'isola dei sopravvissuti, lo Zombie è e rimane un abominio da estirpare. Non dobbiamo dimenticare del resto che il nostro non morto, al contrario degli altri componenti della famiglia, le mummie e i vampiri, porta su di se il marchio della putrefazione che non è affatto il primo necessario passo del processo generativo "alchemico". Essa è una condanna eterna che ha inizio al momento della trasformazione in creatura non morta quando il tempo si ferma e lascia il corpo in uno stato di perenne decomposizione.

L'interruzione del ciclo alchemico esclude ogni possibilità di evoluzione verso la rinascita, lo Zombie si trova bloccato in un eterno "Nigredo", gli elementi che dovrebbero separarsi per essere disponibili ad un nuovo inizio sono invece condannati a rimanere in uno stato intermedio, una putrefazione che non consuma ma sfigura il corpo che, come insegna la tradizione egiziana, non può più essere riutilizzato in una nuova vita e l'anima quindi è perduta per sempre. Dal momento che della contaminazione del corpo da parte della "putrefazione" ne sono responsabili coloro che hanno preparato il corpo per il rito funebre (gli imbalsamatori) , potremmo pensare quindi che uno Zombie nell'antico Egitto sarebbe stato scambiato per un'anima in collera, non correttamente imbalsamata, che esigeva vendetta tormentando i vivi e cercando di impedire loro l'accesso all'aldilà attraverso la stessa condanna da lui patita, la putrefazione.

La nostra cultura, al contrario dell'egiziana, si limita a garantire l'immortalità dell'anima attraverso il suo distacco dal corpo e l'ascesa verso il perenne "Albedo" del paradiso, ma in questa evoluzione non è coinvolto il processo alchemico, la materia non è nobile in quanto parte necessaria di un processo generativo, essa è corruttibile e disgustosa. Davanti al regno di "Dite" la nostra cultura tira un solco incolmabile tra la purezza dell'anima incorruttibile e il corpo che si avvia alla decomposizione poiché composto esclusivamente da vile materia e non più da spirito, questa scissura spinge in alto l'una e sprofonda nell'oscurità della terra l'altro, lontano dallo sguardo dei vivi e confinato dentro solide tombe racchiuse dietro alte mura.

Come abbiamo avuto occasione di ripetere, lo Zombie è un offesa e non ha più niente dell'anima pura che lo abitava prima della morte, l'anima del defunto è salva; lo Zombie non è l'animo in collera dell'antico Egitto, che per altro ha molti punti di contatto con taluni fantasmi, yūrei, della tradizione giapponese, ma è esclusivamente vile materia che risorge come bestia, animale che rivolge i suoi denti aguzzi contro l'uomo per divorarlo e condurlo all'ignobile destino di cui abbiamo già parlato.
Quindi lo Zombie senz'anima, tornando dal mondo dei morti, non ha alcun altro scopo se non mangiare, egli ci dimostra di non avere neanche più l'intelletto dell'umano che fù, si è ridotto a "materia" putrescente e affamata. Dobbiamo necessariamente combattere questa bestia per ricacciarla oltre le "mura cimiteriali" ma come possiamo uccidere ciò che è già morto? Le sue membra non possono essere danneggiate perché sono già in putrefazione, l'unica cosa che possiamo fare è fermarla danneggiando il luogo che sovrintende a tutte le residue funzioni "vitali", il cervello.

Le attività residuali del cervello che permettono allo Zombie di agire sono minime, anche se nell'ultima evoluzione filmografica le cose sono un po' cambiate (La terra dei morti viventi - USA, 2005), egli pertanto può essere soltanto una "bestia" che, per un macabro scherzo del maligno, ha le lontane sembianze dell'essere umano se pur trasfigurate dalla putrefazione.
Questa visione dello Zombie a mio parere è, in ultima analisi, una difesa che opponiamo al fatto di poterci realmente identificare in un non morto, non possiamo essere Zombie e non possiamo permetterci che anche soltanto la sua presenza metta in dubbio la nostra perfetta diairesi tra anima e corpo.
Lo Zombie deve necessariamente essere eliminato, non già quindi con riti magici o esorcismi inutili su di un corpo senza l'anima, ma piuttosto con un colpo alla testa dove il residuo cerebrale continua la sua attività, quasi volessimo distruggere anche l'ultima parvenza di quell'organo che in vita ci conferiva la razionalità e che, essendo di vile materia, non ha potuto seguire l'anima. Meglio distrutto che complice della bestia.

Ricordatevi la modalità di eliminare gli Zombie, nei prossimi articoli verrà paragonata a quelle per l'eliminazione di vampiri e mummie per cominciare a marcare un confine tra le differenti figure di non morto.

domenica 13 marzo 2011

Quali non morti?

L'ultima volta ci siamo lasciati con la promessa di avviare un confronto tra i differenti tipi di "non morti", cercando di interpretare le motivazioni profonde che li hanno strappati da un "aldilà" per condurli fino alle nostre porte.
Intraprendiamo quindi il nostro percorso sulla morte che cammina osservando alcune peculiarità della grande famiglia degli Zombie, apparsi ultimamente anche nei sogni del Dott. House.
Perché gli Zombie catturano il nostro interesse cosi da renderli i primi attori in questo viaggio?
Cosa rappresenta uno Zombie, o meglio l'orda di Zombie, per la nostra cultura?

I nostri Zombie sono stati utilizzati, come già indicato in "chi stiamo osservando", sia nel primissimo lungometraggio del 1932 che poi nei film di G. Romero come mezzo per criticare la società, da schiavi nelle fabbriche a massa priva di volontà e spinta soltanto da istinti, capaci inoltre di tirar fuori il peggio da chi morto non lo è ancora. Un esempio chiarificatore lo troviamo nelle ultime scene de La notte dei morti viventi, primo film della saga romeriana, dove gli Zombie diventano il bersaglio di una caccia a sfumature addirittura raziali, un K.K.K. del "non morto", attività della quale anche la sopravvissuta alla "notte" rimane disgustata.
A mio avviso il significato degli "Zombie" in quanto tali è molto più complesso di una semplice allegoria di protesta, per prima cosa rappresentano la figura più simile ad un essere umano che troviamo nella costellazione non morta, essi sono l'Altro differente, sul quale si riflette la potenza simbolica dell'immagine che per definizione vede nell'alterità "aliena" ciò che minaccia e mette in dubbio le certezze su noi stessi (Fabio D'Andrea, L'Io ulteriore, Morlacchi Perugia 2004, p. 85).
Questa alterità conflittuale, presentata in modo chiarissimo da F. D'Andrea, nello Zombie viene ad essere ulteriormente potenziata. L'immagine del "non morto", nostro alter-ego, si trascina dietro una pletora di significati, l'Altro Z. è "morto" non soltanto per l'assenza dei parametri vitali, egli è morto in quanto negazione della razionalità umana. Rappresenta tutto ciò da cui fuggiamo e tutto ciò che vogliamo esiliare oltre i luminosi confini del nostro mondo che vorremmo incontaminato e immortale.

Lo Zombie non ragiona, non ha più il dono dell'intelletto, è inutile quindi porsi il problema della presenza o meno di un anima nella creatura, non è forse vero che senza razionalità l'animo o semplicemente non è presente o comunque si riduce ad una inutile appendice residuale?
I "figli" cinematografici di Romero osano, nella loro irrazionale stupidità, oltrepassare i muri che abbiamo eretto tra noi e il mondo dei morti. Abbattono virtualmente, e nella filmografia anche fisicamente, le barriere che dovrebbero separarci dall'accettazione della nostra finitezza, dall'imperfezione della creazione ovvero dalla nostra caducità e più cerchiamo di barricarci nelle nostre case più l'orda aumenta e si fa minacciosa.
La minaccia non deriva in linea esclusiva dal ricordarci che un giorno dovremo essere anche noi dei morti, la minaccia Zombie si appropria del potere fondante dell'immagine e si trasforma in fauci armate di denti aguzzi, pronte a stritolare ed a mordere e non nella semplice bocca che inghiotte e succhia (Gilbert Durand, Le strutture antropologiche dell'immaginario, Dedalo, Bari 1972, p. 76).
L'orda divora la vita, non la offende solo con la vista di ciò che dovrebbe essere un tabù chiuso dietro alle possenti mura dei cimiteri, la violenta nella carne con i denti e attraverso questo macabro rituale la trasforma a sua volta in carne "non morta", condannandola ad un eterno vagare antropofagico.
Questa orda che non uccide ma trasforma l'uomo in creature immonde, antropofaghe e prive di intelletto, compare all'improvviso come provenisse dal niente, dall'abisso biblico dal quale, nell'apocalisse di Giovanni, si liberano cavallette simili ad uomini ma con denti di leone.

Lo Zombie incarna quindi tutto ciò che tentiamo di nascondere a noi stessi, egli esce dalla nuda terra ricordandoci che la morte fa parte della vita, ci mostra il nostro "io ulteriore" irrazionale, profana i luoghi sacri (case, centri commerciali, intere città...) e quel che più ci ripugna viola la sacralità del corpo con i sui denti, divorando la carne e infettandola con il morbo che trasforma l'uomo in tutto ciò da cui da sempre vorrebbe fuggire.

Se fino ad ora abbiamo dipinto gli Zombie come alieni, come il lato oscuro da estirpare, dobbiamo adesso tentare una ricucitura dello strappo tra uomo e Zombie, tra vita e morte, avvicinandoci alla visione maffesoliana del rapporto tra "bene e male", pienamente espressa ne La parte del Diavolo.
In questo compito ci viene in aiuto, ancora una volta, il padre degli Zombie moderni G. A. Romero. Nel suo "L'isola dei sopravvissuti" cerca a suo modo di trovare un punto di contatto, una possibile convivenza tra uomini e Zombie, un patto di non aggressione nel quale lo Zombie riesce a cibarsi di animali e non più di carne umana.
Durante tutto il film si assiste ad una netta diairesi tra i fautori dello sterminio degli Zombie e i sostenitori della possibile convivenza, una sorta di riabilitazione del male ovvero di sua integrazione nel ciclo stesso dell'esistenza, una necessaria (e non soltanto possibile) convivenza tra le due facce della stessa essenza. Lo Zombie alla fine rimane sì crudele, morde addirittura la carne della sorella, ma allo stesso tempo è innocente e non si macchia della morte, cosa che invece fa il padre nei confronti della figlia per la quale non accetta la trasformazione a seguito del morso.
Lo Zombie accetta di cibarsi della carne degli animali e lascia l'uomo in una situazione di dubbio e paura, in bilico tra l'accettare l'esistenza contemporanea di bene e male o negare invano quest'ultimo subendone necessariamente il violento risveglio.

mercoledì 16 febbraio 2011

Chi stiamo osservando

L'eidolon incorruttibile ha abbandonato il corpo in putrefazione, direbbe forse Pindaro di fronte ad uno zombi. Ma il solo abbandono del corpo, vinto dalla morte, da parte di una sorta di animo immortale riesce a descrivere sino in fondo l'immagine complessa dello zombi?

Cosa stiamo guardando quindi, in che direzione dobbiamo investigare per compilare una minima carta d'identità del nostro non morto? Lo zombi nasce nella cultura creola Haitiana, colora le tradizioni Voodoo (a dire il vero il Voodoo è una vera e propria religione, riconosciuta ufficialmente nell'aprile 2003 da un decreto del Presidente haitiano) e le storie di morte e non-morte, ma sostanzialmente non entra prepotentemente nell'immaginario occidentale fino agli anni '30. A parte qualche caso relativo a pellicole in cui uno o più personaggi tornavano in vita, "L'Isola degli zombies (White zombie)" del 1932, interpretato da Bela Dracula Lugosi (ricordate questo nome perché tornerà di nuovo), è il primo film a portare sul grande schermo la figura dello zombi e a mio avviso lo fa in modo immaginalmente molto potente.

Una forza rappresentativa cosi rilevante, prima ancora di trattare le immagini archetipiche evocate dalla figura del non morto zombi in quanto tale, va ricercata in alcune peculiarità della storia raccontata nel lungometraggio. La prima può trarre origine da a un paragone, forse un po' azzardato, con il dibattito che coinvolse i più illustri intellettuali di fine '700 a seguito del sisma che colpì Lisbona il 1 novembre 1755, l'onda emozionale che portò personaggi come Voltaire, Rousseau e Kant a riflettere su quell'evento deriva in particolare dalla mal celata certezza che l'europa e in particolare le città grandi e culturalmente avanzate, come Lisbona, fossero al sicuro da eventi causati dalla natura (sisma), una tale tipologia di situazioni era ritenuta di esclusiva pertinenza dei paesi dove non erano giunti i lumi della ragione e il progresso tecnico e culturale (per approfondimenti: "Sulla catastrofe. L'illuminismo e la filosofia del disastro", citato in bibliografia).
La fiducia e l'ottimismo illuministico vacillano di fronte all'evento sismico e se pur davanti ad un evento non paragonabile e soltanto cinematografico si può ipotizzare che le certezze dello spettatore del 1932 abbiano potuto anch'esse vacillare di fronte alla visione di una donna, per giunta bianca, trasformata in zombi. La ripugnanza della morte che cammina, cosi come la catastrofe naturale, non era più soltanto un fatto esclusivo di un popolo incivile e non bianco, ma qualcosa che toccava al cuore i simboli dell'occidente progredito.
L'altra particolarità della pellicola da non sottovalutare è rappresentata dalla possibilità, per il pubblico americano, di identificarsi nella massa di non morti sfruttati nella fabbrica dell'isola, siamo negli anni '30 e negli States serpeggia una profonda crisi economica che pone i lavoratori in una condizione di estrema debolezza, di sudditanza obbligata e quasi di perdita dei diritti fondamentali, cosi come del resto uno zombi, in quanto morto, ha perso i suoi diritti di uomo e di lavoratore. Queste analisi sono largamente e ottimamente argomentate nel testo citato in bibliografia, "Diversamente vivi".

Dopo aver visto l'ingresso dello zombi nel mondo occidentale, che per altro ha potuto sfruttare il favore offerto dai punti precedentemente accennati, dobbiamo tornare alle ipotetiche parole di Pindaro per ripartire nuovamente nell'analisi della componente immaginale e archetipica del non morto e dello zombi in particolare.
Nel prossimo intervento, "non morti a confronto", cominceremo con il paragonare ai nostri zombi gli altri non morti che già da tempi remoti erano presenti nella cultura occidentale.

domenica 13 febbraio 2011

Titolo

Cosa sono realmente gli zombi, dei non morti o dei lavoratori "atipici" nell'Isola degli Zombi o ancora delle creature che sono costrette a combattere per preservare il loro stato di morte?

Qualunque definizione dovessimo associare allo zombi resterebbe il fatto che come non morto si differenzia moltissimo da vampiri e fantasmi. In cosa consistono queste differenze, quale ruolo ha lo zombie nell'ecologia dei non morti, quale è la sua forza immaginale?

Questo blog è un tentativo di analisi di queste creature, del loro universo di significati e del ruolo che rivestono nella cultura occidentale.